Descrizione
Nelle vecchie carte topografiche è indicata con il toponimo di Masseria del
Feudo, oggi è nota come Masseria Gargallo.
Analisi storica:
Nel 1765 il barone Giuseppe Gargallo, fece costruire nel suo possedimento
priolese una prestigiosa residenza di villeggiatura, per poter gestire
direttamente le attività del feudo. Infatti il barone non delegò mai a terzi la
gestione del suo feudo, le cui attività vennero sempre esercitate di persona.
Successivamente nel 1807 il suo successore Tommaso Gargallo marchese
di Castel Lentini chiese al re di Sicilia Ferdinando III di Borbone la facoltà
di popolare il feudo di Priolo. La richiesta fu motivata dal fatto che la
mancanza di popolazione è la prima di ogni altra cosa il principale
ostacolo ai progressi dell’agricoltura, la vera ricchezza di un paese ed il
principio della forza di uno stato consiste nella coltivazione della terra.
Creando una popolazione stabile nel feudo e accrescendo il numero degli
abitanti feudali, volle far divenire Patria del regno il feudo di Priolo ed
entrare così nella nuova Camera dei Pari. Ottenuta l’autorizzazione diede
ordine di costruire quaranta case attorno alla chiesetta, e tracciata una
piazzetta ottagonale (oggi piazza Quattro Canti), pose la prima pietra del
nuovo villaggio. Nella chiesetta fece costruire una Cappella gentilizia che
oggi accoglie il mausoleo del Marchese Gargallo. Nel 1817 il villaggio
venne riconosciuto da un decreto del Regno delle due Sicilie, Comune
facente parte del distretto di Siracusa.
Analisi stilistica:
Rappresenta uno degli elementi tipici del paesaggio, per il ruolo storico e
come elemento significante d’architettura e trasformazione del
territorio. La masseria è l'espressione di un'organizzazione geo economica
legata al latifondo, la grande proprietà terriera che alimentava le rendite
delle classi aristocratiche e della borghesia. La nascita della masseria ha
una valenza storico culturale essendo il prodotto della colonizzazione
baronale di vaste aree interne abbandonate ed incolte, negli anni tra il
Cinquecento e il Settecento, quando la Spagna per approvvigionarsi dei
cereali, concedeva la licenza di ripopolamento ai nobili di Sicilia i quali
arrivavano a fondare perfino dei veri e propri villaggi nei dintorni della
costruzione originaria. Ancora oggi nella Sicilia, nelle zone di tradizionale
uso agricolo, è possibile incontrare tali costruzioni di notevole volume ed
estensione. Centro e simbolo della grande proprietà terriera, antiquariato
del sistema feudale, la masseria nasce come insediamento di tipo
padronale di controllo e di organizzazione del latifondo ed ha all’origine
una specifica valenza funzionale in relazione alle colture e attività
storicamente dominanti nel territorio siciliano. Per il progetto del
complesso architettonico fu incaricato il regio ingegnere civile Paolo
Labisi da Noto, alunno del maestro di architettura don Vincenzo Sortino.
Analisi delle tecniche costruttive e dei materiali:
La masseria nasce direttamente dal calcare sul quale si fonda facilmente
sotto i pochi centimetri di humus. Gli stipiti delle porte e delle finestre, gli
archi e le piattabande, le soglie ed i basolati , sono di calcare duro (pietra
di Ragusa), essendo la maggior parte del territorio ibleo formato da rocce
calcaree, il resto della muratura è di calcare tenero proveniente dalle cave
vicine (pietra di Siracusa), il cui colore varia dal giallo chiarissimo al
grigio. Queste costruzioni sono realizzate a secco, senza malta e senza
intonaco, da esperti operai contadini, gli stessi che costruiscono i muretti
ed i terrazzamenti. I tetti sono fatti di travature di legno coperte con tegole
di cotto, i balconi sono delimitati con ringhiere in ferro battuto
Uso storico dell’edificio:
Di tale progetto è nota la pianta del primo e del secondo piano di due
moduli abitativi perfettamente uguali con al centro una chiesa a pianta
ovale, preceduta da un portico e fiancheggiata dagli ingressi principali.
Nel prospetto anteriore quattro colonne quadrangolari incorniciano i due
moduli laterali le cui pareti sono vivacizzata da frontoni triangolari a
coronamento delle finestre, con ornamenti nei balconi e nelle ringhiere in
ferro. Secondo il progetto l’opera si presenta come un piccolo castello
feudale, che è stretta attorno ad una corte interna a cielo aperto, nei cui lati
sono ricavati scuderie, magazzini di merci varie, derrate alimentari, alloggi
per i servi, rendendo l’unità architettonica autosufficiente. Nel piano
rialzato più nobile e riservato sono previste una serie di camere e
retrocamere di cui due attraverso eleganti finestre si affacciano all’interno
della chiesa, camere da letto anticamere e cenacolo ed altre stanze di forma
oblunga che il progettista definisce gallerie; una scala che continua al
piano di sopra ed un coretto sopra il portico che comunica con l’altro
modulo abitativo nobiliare. Si accede alla residenza da due ingressi
ricavati ai lati della chiesa, da dove ci si può recare o nell’ampia corte o al
piano superiore tramite una doppia scalinata. Questo progetto venne
realizzato in parte, pertanto esso si trasformò negli anni a seconda dei
bisogni in una masseria autosufficiente dotata di servizi, forni, stalle,
magazzini, fienile ed alloggi per i contadini. Oggi il complesso
architettonico è costituito da una serie di fabbricati chiusi attorno ad una
ampia corte centrale a cielo aperto. Nel piano terra sono ricavati quattro
magazzini, le stalle, il fienile, il porcile, il frantoio e i locali annessi al
lavatoio. Sopra i locali annessi al frantoio ed ai magazzini, è ricavata la
residenza padronale costituita da quattro camere, un soggiorno cucina ed
un ripostiglio con ampia terrazza che domina l’intero caseggiato. Sopra il
magazzino per i cereali vi è un ampio stanzone dormitorio per i lavoratori
della campagna. In fondo al cortile accanto alle stalle bovini, un’altra
scalinata conduce ad un piccolo appartamento, la casa del custode. Le
attività che svolgevano i contadini del fondo erano prevalentemente
colture di grano, olive, viti, agrumi, mandorli e canapa. Famosissimo
all’estero il vino prodotto in questo feudo.
Tra le opere di Tommaso Gargallo, c’è un idillio tratto dai versi delle
Calende d’Aprile scritte nel 1834 che ispiravano il poeta fondatore del
borgo, quando libero da impegni politici e da frequenti viaggi, veniva a
riposarsi nella masseria del suo feudo di Priolo, divenuta anche luogo di
ispirazione poetica.
“Qui dove di mia mano su le ruine
di Megara fondai, sacro al benigno
mio genio tutelar, ben augurato
Pago novello, e di Priolo al nome
giunsi quel di mia gente (oh caro asilo!)”,
assiso intanto lagrimando io veglio.
Veglio, e’ tranquilli agricoltor, cui sola
cura è l’industre famigliola e’ solchi
molli di lor sudore, e sol pensiero
l’avvicendar de’ soli e delle piogge,
dormono placidi sonni. Oh caro, oh dolce
premio d’util fatica almo riposo!
Dormite sì, miei Figli: io piango e scrivo.
L’oriol del villaggio ecco che batte
gli alterni colpi, ad annunziar la notte
giunta a metà del corso... Un tocco solo!
Ahi come fuggon l’ore! E’ già fuggita
la prima... E scocca l’altra... Odo la terza,
del dì vicino mattutina ancella,
men fosca rinterzar l’indice colpo.
Sul balzo oriental sue fresche rose,
April sorgente a seminar s’affretta,
ed io seggo scrivendo. Il ciel di stelle,
come cilestro padiglion trapunto
d’argentee borchie, scintillando intona
a la madre d’Amor inno festoso.
O Diva, e non sei tu simbolo e nume
di questa bella gioventù de l’anno,
che col suo germogliar d’alma natura
l’inesauribil seno apre e feconda?
La masseria non fu completata come previsto dal progetto del Labisi, una
parte di essa rimase incompiuta. Oggi la masseria ha un valore storico
importante, rappresenta la storia della nascita di Priolo Gargallo, per le
attività agricole che ruotavano attorno ad essa, nasceva il borgo feudale.
Servizi
Modalità di accesso
Non facilmente accessibile ai disabili